Mea Culpa

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Voglio che mio figlio sia orgoglioso di me

Mea Culpa

"Voglio che mio figlio sia orgoglioso di me". Ci sarebbe quasi da credere alle buone intenzioni di Corona, se l'ex paparazzo - al momento detenuto nel carcere di Opera - non avesse inserito il riferimento alla prole sulla copertina di un libro di sicuro successo commerciale. Meglio ancora, ci sarebbe da credere ai buoni propositi di un detenuto che ha già scontato un anno di carcere, se il detenuto in questione non avesse scritto un libro - il suo quarto e il secondo dall'interno di un carcere - scomodando ancora una volta citazioni che francamente non gli competono (la sua ultima fatica letteraria si intitolava La Mia Prigione).

Nonostante il filosofo Franco Bolelli - che, evidentemente stanco di avere un'immagine credibile, ha firmato la postfazione dell'opera - affermi con convinzione di aver riscontrato nel "nuovo" Fabrizio segni di autentico ravvedimento, risulta difficile vedere in questa operazione editoriale altro che non sia il tentativo di capitalizzare le circostanze per trarne un vantaggio di immagine o - citando il sofisticato commento dell'ex fidanzata Belen Rodriguez in proposito - "una commercialata".

Il libro in sé, con tragica ironia, riesce a far evaporare qualunque dubbio sulla natura commerciale del progetto: la prosa riesce a essere crassa quanto i contenuti e imbottita di espressioni e definizioni che suonano autentiche quanto il monologo di un partecipante a Forum. Nella mistica del peccatore pentito e del capo coperto di cenere, spicca un compiacimento che sa di cinema mal masticato: se qualche anno fa Corona si credeva Scarface, adesso si crede Ghandi. Da ultimo, un quarantenne che usa per se stesso la definizione "bad boy" dovrebbe stare in galera comunque.