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La razza degli uomini perduti e altre prose di Artaud
Del 20/01/2013 di Angela Fiore - La crudeltà della cita che si riflette nel teatro

Scrittore, sceneggiatore, regista, attore e teorico del teatro, Antonin Artaud è stato soprattutto uno specchio, una cartina di tornasole della realtà.
La sua biografia, talmente rocambolesca da sembrare un romanzo, documenta un susseguirsi di violenze, crudeltà, costrizioni e alterazioni della realtà: tutte queste cose, assorbite dalla vita e dalla società, Artaud le ha riflesse e proiettate, attraverso il teatro, sul suo unico interlocutore possibile, ovvero il pubblico.
Le allucinazioni, i sogni e le fantasie soprannaturali che abitavano la sua mente, spesso indotte o agevolate da un consumo di sostanze psicotrope che lo accompagnò per tutta la vita, non erano, per lui, meno reali dell'esistenza fisica delle cose. La realtà è un compromesso che può essere scosso alle fondamenta, attraverso l'infrazione delle regole più comunemente accettate: nel caso del teatro la distribuzione dei ruoli fra spettatori e attori, per esempio.
La vita e l'opera di Artaud, si svilupparono intorno all'idea di lotta fra l'individuo, in particolar modo il Genio e il Folle (che spesso coincidono) e la società che, nello sforzo di integrare il diverso, lo distrugge.
Un esempio, al quale Artaud ha dedicato un saggio, è Vincent Van Gogh. Nel corso degli anni, dalla gioventù alla maturità, il precario senso della realtà di Artaud si andò sfaldando, anche a causa dei ripetuti internamenti in manicomio e dei numerosissimi elettroshock. Questo cambiamento nella scrittura, si percepisce mettendo a confronto lavori di periodi diversi, come avviene nel libro di recente pubblicazione La razza degli uomini perduti e altre prose .