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"Il ritratto di Dorian Gray": la morale di Oscar Wilde e il suo gusto del paradosso
Notizie Milano

La vera morale di Oscar Wilde, tra paradossi e provocazioni

Del 09/07/2012 di Lucia Conti - "Il ritratto di Dorian Gray" e la centralità della coscienza nell'opera di Wilde

Spesso il senso comune e la storia hanno equivocato Oscar Wilde, di sicuro anche con la complicità dello stesso scrittore, descrivendolo perennemente come un esteta amorale esclusivamente dedito a piaceri superficiali e al mero gusto del paradosso. In realtà non c’è mai stato vero cinismo in Wilde e neanche vera frivolezza, ma solo una costante provocazione antivittoriana che aveva lo scopo di sancire l’indipendenza dell’arte dal giogo del moralismo. Tutto ciò emerge chiaramente proprio nella sua opera più famosa, “Il ritratto di Dorian Gray”.

Come molti sanno il protagonista del romanzo, il giovane Dorian, viene plagiato dal cinico Harry Wotton e inizia un lungo viaggio negli inferi della dissolutezza fino a quando non si accorge che, in virtù di un inesplicabile incantesimo, un bellissimo ritratto che immortalava la sua perfetta giovinezza sta invecchiando al posto suo. Per un dandy senza scrupoli questo sarebbe stato un sogno, non un incubo, ma nel romanzo non è esattamente così, anzi, il malefico prodigio si innesca subito dopo che Dorian ha indotto al suicidio una giovane attrice perdutamente innamorata di lui e segna l’inizio della sua autodistruzione.
Ad ogni malefatta o crudeltà, infatti, l'immagine sulla tela invecchia e il giovane perde progressivamente la serenità e la ragione, fino a quando, al culime del delirio, arriva persino ad uccidere l’autore del dipinto maledetto, il fragile Basil Hallward, ossessionato dalla bellezza del suo modello, ma anche inorridito di fronte all’orrore che ha contribuito a creare.

La decadenza mostrata dal ritratto, quindi, non è tanto fisica, ma in qualche modo “etica” e il volto dipinto non si trasforma tanto in quello di un vecchio, quanto in quello di un laido mostro che porta in faccia i segni della sua abiezione. E’ la sconfitta della presunta vacuità di Wilde, che i contemporanei identificarono spesso con Henry Wotton e che avrebbero fatto meglio a ritrovare proprio in Basil, ingenua e patetica vittima della sua stessa illusione.

Alla fine, lungi dal godere della sua eterna giovinezza e della sua libertà senza limiti e letteralmente ossessionato dal dipinto, diventato ormai uno specchio della sua corruzione, Dorian tenta di distruggerlo per ritrovare la pace, ma in questo modo uccide anche se stesso. Nella concezione di Oscar Wilde, è più che evidente, non si sopravvive alla morte della coscienza.

Si svela così la vocazione etica del romanzo e all’indomani della sua pubblicazione lo stesso scrittore riconobbe che “purtroppo” il libro aveva una morale e che questo poteva dirsi “il suo unico difetto”. Non così perspicaci furono invece i molti critici che subito lo accusano di essere scandaloso e deprecabile, ma si sa…il moralista è sempre un cretino.

Categorie: Scrittori

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