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Ragnar Kjartansson e la pratica performativa
Del 02/08/2013 di Lucia Conti - L'artista islandese fa della sintesi tra discipline il suo metodo.

Ragnar Kjartansson, in mostra Milano per tutto l'autunno, si muove tra teatro, musica, scultura e arte visiva, oltre che tra realtà e finzione, parodia e tensione emotiva, avvalendosi spesso della collaborazione di amici o di altri artisti.
La pratica performativa, che è lo schema tipico in cui si esprime la sua creatività, entra quindi in una seconda dimensione artistica, divenendo spesso parte di installazioni video multi-canale che documentano questa profonda integrazione tra stimoli diversi.
Elementi ricorrenti delle sue performances sono l'uso dei loop, del blues e il concetto di "pittura vivente", mentre i suoi "numi tutelari" sono figure eminenti della musica e dell'arte contemporanea: Leonard Cohen, Rufus Wainwright, Andy Warhol, Asdis Sif Gunnarsdottir, Magnus Sigurdarson e Diether Roth.
Kjartansson è inoltre affascinato dal romanticismo disperato di Percey Bysshe Shelley e dall'avanguardia islandese, sia sul piano dei contenuti che per quanto riguarda la stessa natura del circuito artistico-culturale, con la sua potente rete di gallerie che spesso sceglie di ignorare il mercato per assecondare le intuizioni di "alcuni strani testardi", per usare le stesse parole dell'artista.
Nonostante la giovane età (è nato nel 1976), questo originalissimo alfiere della commistione e della "confusione" dei piani narrativi ha all'attivo numerosi riconoscimenti e si distingue per aver partecipato già due volte alla Biennale di Venezia, la prima nel 2009, segnalandosi come l'artista più giovane del Padiglione Islandese, e la seconda nel 2013, con la suggestiva "S.S. Hangover ", che vede un sestetto navigare all'interno dell'Arsenale di Venezia su una piaccola barca da pesca, suonando per quattro ore una composizione realizzata per la circostanza da Kjartan Sveinsson.