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Man Ray, il primo fotografo surrealista: Il suo destino incrocia quello di Duchamp, Joyce ...
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Man Ray, Parigi e rivoluzione

Del 13/11/2013 di Lucia Conti - Il suo lavoro incrocia le intuizioni di Duchamp e contribuisce a illuminare gli anni d'oro di Montparnasse.

Man Ray è il primo fotografo surrealista, ma anche il simbolo di una temperie particolarissima, che si nutre degli stimoli degli anni venti di Montparnasse, del contributo di artisti come Salvador Dalì e Marcel Duchamp, e del fascino di quelle figure spregiudicate ed evanescenti come Kiki de Montparnasse, che hanno illuminato con la loro esistenza di falene gli anni d'oro di una Parigi indimenticabile.

Dopo aver tentato invano, negli anni della giovinezza, di far attecchire il movimento Dada a New York, Man Ray, nato Emmanuel Radnitzky, si rende conto che è in Francia che l'arte sta prendendo l'abbrivio sui binari dell'avanguardia e vi si trasferisce, seguendo Duchamp, che aveva conosciuto in America nel 1915 e che lo introduce nel giro delle eminenze parigine più influenti, cominciando col presentargli André Breton, sommo teorico del surrealismo.

Man Ray diventa subito famoso come ritrattista, scatta foto di James Joyce, Gertrud Stein e Jean Cocteau e molto presto si fa notare per via di quell'eretica originalità che lo porterà a ribaltare totalmente l'approccio tradizionale. Nel 1921, del tutto casualmente, poggia degli oggetti sull'emulsione fresca di una fotografia: nasce così la prima di una lunga serie di quelle che chiamerè "rayographs", immagini nate dallo sfregamento tra il mondo e la carta sensibile. Il risultato è la produzione di forme astratte, nuove prospettive del reale ottenute senza la mediazione della macchina fotografica e quindi dell'occhio umano, forme abbozzate dal contatto e definite dall'esposizione brutale alla luce.

L'eclettico newyorkese è tuttavia anche pittore, inventore di oggetti e regista di film d'avanguardia, che anticipano quelli del filone surrealista ("Retour à la raison", "Anémic cinéma", realizzato con Duchamp, "Emak-bakia", "L'étoile de mer", "Le mystères du chateau de dé").

Come scultore lo ricordiamo per i suoi "Oggetti di affezione" e per la serie "Cadeau", costituita da oltre 5000 ferri da stiro in ghisa con 14 chiodi piantati sul fondo, ricercatissimi dagli esperti d'arte.

Torna negli stati Uniti In seguito ai tristi eventi della seconda guerra mondiale, ma considera Parigi la sua unica e vera casa e dopo la guerra vi torna, per restarvi fino alla morte.

Riposa nel cimitero di Montparnasse, e non poteva essere altrimenti, sotto l'epitaffio "Non curante, ma non indifferente." Le sue opere saranno in mostra a Milano fino all'11 gennaio 2014.

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