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Gabriele Basilico e la poesia dei "non luoghi"
Del 15/10/2013 di Lucia Conti - Malinconia industriale e "visioni" in bianco e nero negli scatti del fotografo milanese
Gabriele Basilico è uno dei più noti fotografi italiani. Soprattutto all'inizio della sua attività è influenzato dai suoi studi di architettura e opera prevalentemente nell'ambito dell'editoria di settore.
A metà degli anni ottanta il governo francese lo invita a registrare il mutamento del paesaggio transalpino, ma è soprattutto un lavoro sulle aree industriali milanesi intitolato "Ritratti di fabbriche" a fargli guadagnare una notevole credibilità, anche internazionale.
Le sue ricerche e la sua attenta analisi della morfologia urbana lo portano a collaborare con enti privati e pubblici e sedimentano nella sua sensibilità un certo gusto per l'archeologia industriale. Al tempo stesso Basilico vive sempre più intensamente la necessità di coniugare la sperimentazione fotografica intesa come libera espressione della creatività e una sorta di responsabilità sociale da cui si sente investito dopo anni di indagini professionali sul territorio, spesso raccolte in veri e propri "libri culto".
Comincia così ad appassionarsi alla fotografia tout court e definisce la sua impronta stilistica come legata all'"esperienza estetica della visione". Lavora con il banco ottico e con pellicole prevalentemente in bianco e nero. La città di Milano lo affascina moltissimo, ma ovunque vada cerca elementi che rendano il territorio osservato universale, familiare, un "non luogo" capace di imporsi in modo subliminale come punto di riferimento per la memoria.
Quello delle sue fotografie è un tempo lento, scandito con ipnotica fluidità, che si parli di Glasgow o di Beirut, fotografata dopo la guerra e resa con intensità assoluta, il sentimento prevalente è una sorta di familiarità profonda, intima, mai disgiunta da una lieve patina di malinconia.