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Federico Fellini e la realtà immaginata
Del 10/03/2013 di Lucia Conti - Coerenza e contraddizioni di un genio bugiardo

Federico Fellini: visionario sulla scena, inguaribile bugiardo nella vita.
Sullo schermo ha reso leggendario il suo folklore "mitologico", il naufragio nel sogno, la nebbia evocativa che sfuma i contorni tra rappresentazione realistica e rielaborazione fantastica ed era inevitabile che un cantastorie, contaminato dal costante ricorso all'immaginazione, finisse poi per raccontare in modo fuorviante anche la realtà, spesso più asfittica e carente delle sue possibili reinterpretazioni.
I suoi amici e collaboratori ne parlavano, come di un uomo dal temperamento inaffidabile, capace di virare dall'entusiasmo più radicale, a un'aspra e fanciullesca cattiveria, facile all'affetto, all'ira e alle menzogne, patologicamente dipendente dal fascino del racconto, fino al punto da non interessarsi della sua plausibilità.
Aldo Fabrizi, scherzava con divertita tenerezza sulle storie inventate di sana pianta da Fellini e che sapeva per certo non avere alcuna base reale ("Un giorno, tanto tempo fa, incontrando Fellini in una via di Roma, dopo il solito abbraccio e i relativi bacetti sulle guance, colsi l' occasione per domandargli, sorridendo, in quante notti aveva sognato tutta quella roba...").
Oriana Fallaci, celebre giornalista che per lui aveva provato autentico affetto, cominciò a detestarlo in occasione di un'intervista che lasciò emergere parte delle contraddizioni "strutturali" del regista: Fellini infatti, disertò brutalmente una serie di appuntamenti, lasciandola ad aspettare per ore prima in albergo, poi in un cinema e infine all'aeroporto, affastellando giustificazioni "creative" e ricoprendola di insulti, quando lei se ne lagnò. In seguito pretese di modificare le risposte a posteriori, perchè non vi si riconosceva più, e in generale manipolò più volte il testo, per farlo coincidere con il mutevole e perpeuto flusso delle sue intuizioni, invenzioni e deformazioni, convincendosi reiteratamente delle sue stesse bugie.
Di questo pobabilmente, il geniale cineasta era il primo a rendersi conto, anche considerando il titolo della biografia dettata al regista canadese Damian Pettigrew, nell'ambito di un lungo documentario intitolato appunto "Sono un gran bugiardo", affascinante viaggio nella poetica di uno dei più grandi registi del dopoguerra che, senza problemi, dichiarava: "Le cose più vere sono quelle che ho inventato".
Mai nella storia del cinema, c'è stata una tale compenetrazione tra, cifra stilistica e dimensione biografica, e mai un caleidoscopio di emozioni rappresentate sullo schermo con tanta indimenticabile poesia è scaturito, come in questo caso, dal magma di una vita così simile all'arte.