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Alex Kanevsky e la poesia del vuoto
Del 01/01/2013 di Lucia Conti - Sulle sue tele si incontrano solitudine e carnalità

Il pittore russo Alex Kanevsky in mostra a Milano, formatosi in Lituania e stabilitosi in Pennsylvania, dove attualmente insegna alla Pennsylvania Academy of Fine Arts, si è sempre definito a metà tra due modelli, due influenze e due sistemi geopolitici e culturali, mescolandoli anarchicamente e riempiendo i "vuoti di appartenenza" con la creatività.
La sua pittura non è narrativa nel senso classico, i titoli delle opere sono indicativi, ma non descrittivi, non ci sono obiettivi prefissati, ma un'attività emotivamente orientata alla ricerca di qualcosa che non ha ancora preso corpo, la storia dell'arte è concepita come un continuo dialogo tra artisti viventi e Maestri scomparsi, non come un'evoluzione lineare.
Gli ambienti rappresentati sulla tela sono il perfetto teatro della solitudine di soggetti anonimi, a metà tra l'inconsistenza del fantasma e il trauma della carne, esaperato da squarci di occasionale violenza cromatica.
Dopo quindici anni di pittura, Kanevsky si dedica anche al disegno, che paragona a un pazzo capace di comunicare concetti inspiegabilmente profondi e interessantissimi.
Il primo esperimento in senso assoluto, portato a termine senza l'ausilio di una gomma per cancelllare, si traduce in una serie di tentativi testimoniati dalla sovrapposizione di linee che raccontano la storia della composizione finale. L'effetto gli piace talmente tanto che, anche quando la sua tecnica migliora, Kanevsky comincia a chiedere alle modelle di cambiare posa ogni tanto o di non essere troppo rigide nel manternela, così da conservare lo stesso tipo di effetto, prodotto felice di una fertile instabilità.